Knownone Roberto Corradino è morto

KNØWnønê‬ (Roberto Corradino è morto)

«Solo l’amare, solo il conoscere/conta, non l’aver amato,/ non l’aver conosciuto. Dà angoscia»
Pier Paolo Pasolini

Questi versi tratti da Il canto della scavatrice, declamati da Roberto Corradino durante la seconda parte dello spettacolo, mettono in contrapposizione il tempo passato e quello presente, privilegiando nettamente quest’ultimo perché “dà angoscia il vivere di un consumato amore. L'anima non cresce più”. Ma quando non si ha la possibilità di scelta, quando il fato non ti ha nemmeno concesso l'aver conosciuto né tantomeno l’aver amato, l'angoscia presto si trasforma in ossessione.

Già, perché il Roberto Corradino del sottotitolo non è di certo l'attore che troviamo, con il suo gilet nero e gli occhiali da sole scuri, sul palco del Teatro Abeliano, bensì l’omonimo nonno, morto in Russia durante la Seconda Guerra Mondiale, ossia quando il nipote non era ancora nato. La ricerca della verità diventa il chiodo fisso di Corradino junior ma anche punto di partenza per esplorare una funzione psichica fondamentale per tutti gli uomini: quella memoria che tanto viene rimarcata dallo stesso Pasolini nella poesia sopraccitata. E per farlo conduce una ricerca tra vita e arte, un connubio tanto caro a Pippo Delbono, artista che, per le scelte formali costantemente utilizzate, non si può non tirare in ballo quando si parla di questo KNØWknønê‬.

La scena iniziale è totalmente sgombra. C'è solo un microfono posto sul lato desto del palco. La parola è sempre una presenza vitale, è da essa, infatti, che si creano e compongono i molteplici quadri viventi che di volta in volta si avvicendano sulla scena. Spaccati di un passato riesumato grazie agli ottimi comprimari (Sara Bevilacqua, Filomena De Leo, Antonio Guadalupi, Gabriele Montaruli) che si alternano o uniscono sul “quadrato magico” durante tutta la rappresentazione.

Coreografie sulle note di vecchie sigle televisive e cartoni animati; pranzi domenicali “di merda” di normale amministrazione; il rapporto con il sesso con tutti i suoi “oppure era”; la pasta fatta in casa. Questi sono alcuni degli sketch creati nella prima parte di uno spettacolo caratterizzato da un clima disteso, allegro, più volte orientato a strappare un sorriso. Registro che cambia, come la scenografia, nella seconda parte, più riflessiva, più cupa. Appaiono degli alberelli sul fondo e dei cadaveri sotto delle lenzuola. Siamo per un attimo in Russia, poi ci si ritrova a casa della nonna, si prega, si celebra, si citano versi. Si rivisita l'intera esistenza di un uomo attraverso il ricordo.

In questo profluvio emotivo, Corradino e la sua delboniana combriccola utilizzano il teatro come mezzo espressivo atto a comunicare i diversi stati di un incessante Io. Dalla natività alla morte, dal pregiudizio al beneficio, dal vernacolo alla modernità; la mente del protagonista è un continuo muoversi trasversale in habitat vissuti in prima persona e non. Uno spettacolo che, pur avendo dei momenti di ridondanza, si muove fluido, nutrito costantemente dalla memoria, perché è solo tramite essa, tramite le conoscenze pregresse, la tradizione, che l'intelletto può continuare a emanciparsi, ad ampliarsi e a varcare anche territori inesplorati – quelli dell'immaginazione, utili a esorcizzare ogni tipo di ossessione.

Teatro Abeliano, Bari – 21 novembre 2015

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