Bell'Antonio Sepe

Il bell’Antonio – Giancarlo Sepe

Una parvenza di ordine e potenza in realtà cela una nazione diretta inesorabilmente verso il baratro. Il bell’Antonio di Vitaliano Brancati parte da un microcosmo – quello di una famiglia siciliana – e lo usa come metafora di un Paese in difficoltà durante il periodo fascista. Un affresco crudo e dirompente per il romanzo considerato (si dice) il più letto tra quelli italiani dopo Il Gattopardo.

Il personaggio del titolo fu reso celebre sul grande schermo dall’indimenticabile interpretazione di Marcello Mastroianni. Diretto da Mauro Bolognini e scritto da Pier Paolo Pasolini, il film spostò le vicende di trent’anni, omettendo la critica antifascista, cardine dell’opera di Brancati, ma mantenendo il rapporto tra macro e microcosmo. In questo adattamento di Antonia Brancati e Simona Celi, i personaggi ritrovano posto nel periodo storico originale, ma a perdersi, come vedremo, sarà soprattutto un’altra caratteristica.

Antonio Magnano, figlio unico bellissimo senza né arte né parte, viene stimato da tutti per la sua presunta abilità con le donne. Dopo aver vissuto per un po’ di tempo a Roma, il giovane torna a Catania dove s’innamora di Barbara Puglisi, figlia di un notaio opportunista. I due si sposano, ma questo sarà il preludio della tragedia. Dopo tre anni, infatti, Antonio si dimostrerà incapace di consumare il matrimonio, e ciò che era visto come una sorta di divinità si trasformerà in inetto. In una società basata sul virilismo incarnato dalla figura di Benito Mussolini non c’è spazio per l’impotenza.

Andrea Giordana (Alfio Magnano) e Giancarlo Zanetti (Ermenegildo Fasanaro) ricompongono una coppia storica del teatro italiano e, accompagnati da altri sette attori, mettono in scena il dramma famigliare dei Magnano. In una scenografia dominata da una tenda che cambia le scene avvolgendo i protagonisti, la messinscena si avvale anche di un uso spropositato della musica. Su questi elementi si muove una compagnia dalla forte impronta tradizionalista, con componenti macchiettistiche pronte a regalare sorrisi al pubblico del Teatro Parioli. Prove attoriali dall’alto contenuto empatico, certo, ma la componente storica dov’è finita?

Sulle pagine di Nero su nero, Leonardo Sciascia ebbe modo di centrare perfettamente lo spirito dell’opera di Brancati, mettendola in relazione con quella di Armance di Stendhal:

L’impotenza di Ottavio e di Antonio è in effetti come una esemplificazione fisiologica di una più profonda impotenza, di una «impossibilità». Il vero loro segreto, quel segreto che Ottavio si porta nella morte e che il suo autore non svela, quel segreto che invece Antonio vede esplodere in un processo di Sacra Rota, non è quello dell’impotenza sessuale; è il segreto di una infelicità che possiamo riscontrare nelle pagine di Tacito: l’infelicità di vivere sotto un dispotismo più o meno blando, nella corruzione, nella cortigianeria.

Questa perfetta chiave di lettura non si rileva perfettamente in un adattamento che, nei suoi tagli al testo originale, dona troppo spesso alla caricaturale performance di Natale Russo (Avvocato Ardizzone) le chiavi del periodo storico. Ci si concentra troppo sulla famiglia senza dare il giusto spazio al contesto, e questa è la pecca più grande della rappresentazione.

Teatro Parioli «Peppino De Filippo», Roma – 12 marzo 2015

IL BELL’ANTONIO

di Vitaliano Brancati
adattamento teatrale Antonia Brancati e Simona Celi
regia Giancarlo Sepe
con Andrea Giordana, Giancarlo Zanetti
e con Luchino Giordana, Elena Calligari, Simona Celi, Michele Dè Marchi, Natale Russo, Alessandro Romano, Giorgia Visani
scene Carlo De Marino
light designer Franco Ferrari
produzione Lux T

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