Heaven Knows What still

Heaven Knows What – Josh Safdie, Benny Safdie

I due registi newyorkesi, Josh e Benny Safdie, portano sul grande schermo alla 71^ Mostra del Cinema di Venezia un'esperienza di vita vera, un'incredibile fusione tra il cinema e il documentario, tanto da ridurre al minimo la distanza tra rappresentazione e realtà. Una messa in scena che a prima vista può apparire cruenta agli occhi degli spettatori, ma che alla fine sa rendere chiaramente il disagio di giovani senza progetti, vagabondi nella grande metropoli “dove tutto è possibile”, che, nonostante tutto, procede frenetica nella sua quotidianità senza accorgersi di loro.

La trama è semplice, quasi banale, ma ciò è comprensibile. Quello che i due registi hanno voluto rappresentare è la vita vera, portata sul grande schermo senza false rappresentazioni, quasi tangibile in sala dagli spettatori. Non una denuncia contro l'alcolismo o la tossicodipendenza, ma semplicemente un inquadramento di un microcosmo all'interno del sogno americano che qui sembra non esserci, reso ancora più concreto dalla presenza di attori che, avendo alcuni di loro vissuto il disagio sulla propria pelle, riescono, senza troppa difficoltà, a rappresentarci tutta la tragicità degli eventi e la completa assenza di qualsivoglia ambizione di vita. Harley e Ilja, i due protagonisti, sono alla ricerca di continui slanci estremi e della maggiore euforia possibile raggiungibile attraverso l’uso di alcool e droghe, che li porterà senza accorgersene all'autodistruzione. Una storia d'amore difficile proprio per quella continua e persistente mancanza di lucidità e per la frequentazione di ambienti poco raccomandabili in una città che sembra non avere tempo per loro.

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Se l'obiettivo era quello di rappresentare la realtà degli eventi nella loro drammaticità all'ombra dei grattacieli americani, i due fratelli registi ci sono riusciti. Le scene sono spesso forti, i toni sostenuti e la musica incalzante, quasi a voler sottolineare una frenesia nella ricerca di una felicità che sembra non poter arrivare, se non unicamente attraverso lo “sballo”. Questa mancanza di un progetto di vita e di una strada da percorrere avrà a sorpresa un epilogo che porta non solo i giovani protagonisti ma anche il pubblico in sala a chiedersi cosa sia successo e perché si è arrivati a quel punto. Un finale che, come a completamento di un circolo, rimanda al titolo iniziale: la risposta rimane sconosciuta a tutti se non al cielo che tutto osserva e tutto sa.

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