Double Roses – Karen Elson
La cantautrice di Oldham torna con il suo album più profondo e raffinato
Per un cantautore vita privata e professionale sono davvero così correlate? Quanto possono incidere le vicende personali nella stesura di un disco? Che siano esse positive o negative hanno sempre un ruolo fondamentale per la scrittura di un album, del resto basta ascoltare l’ultimo disco di Nick Cave per averne subito un’idea chiara. La stessa intimità scovata nella penna del cantautore australiano, la ritroviamo in maniera decisa e sublime anche nell’ultimo lavoro della cantautrice americana Karen Elson.
E non servono nemmeno molti ascolti per capire che con Double Roses si è davanti a qualcosa di davvero puro e semplice allo stesso tempo, un disco intimista a tutti gli effetti che nell’immediato colpisce sia per una scrittura profonda (la cantante ha compiuto molti passi avanti dal suo album d’esordio), sia per un timbro di voce pulito e deciso, una vocalità che in certi brani ricorda una frizzante PJ Harvey.
Troppo facile accostare Double Roses a The Skeleton Tree del già citato Nick Cave, in particolare la tematica dell’abbandono lega in maniera indissolubile i due dischi. Se per il cantautore australiano è da leggere come la perdita del figlio, per la Elson la fine del matrimonio con Jack White sancisce in modo chiaro e netto parole e musica di Double Roses.
Meno folk rispetto al disco d’esordio – The Ghost Who Walks –, le dieci tracce di Double Roses si rifanno invece a un dreampop più soave in cui Karen Elson prende coscienza delle sue doti di scrittura di testi e musica. Questa consapevolezza rimanda la cantante a fare i conti con sé stessa e con la fine di un amore. Basterà leggere il testo di Call your name per capire cosa la Elson ci vuol comunicare. Il brano è un crescendo d’intensità musicale che si fa vivo fin dall’inizio, creando una virtuale empatia con l’ascoltatore. Incentrato su un sound più jazz è invece Hell and High Water, un pezzo dove “l’intermittenza vocale” della cantante diventa subito un tutt’uno con le sonorità a tratti raffinate di questo brano.
Un album che ricompone i pezzi di un puzzle a volte troppo complesso da risolvere in breve tempo (non è certo un caso che la Elson l’abbia completato in circa 5 anni); dopotutto il concept trattato nel disco non ha le pretese di avere una veloce risoluzione. Forse sono state proprio la pazienza e l’attesa che la cantautrice di Oldham ci ha messo dentro che hanno fatto di Double Roses un lavoro di alto livello.