Foto di scena ©Matteo Nardone

Cans, o il lato oscuro delle azioni virtuose

Filippo Gili a Trend con Stuart Slade

Una carriera brillante da conduttore radiofonico, una bella famiglia, una vita da persona di successo impegnata nel sociale. Per il papà di Jen, tutto sembra scorrere nella beatitudine.
E se tutta la beneficenza, i gesti plateali per la raccolta fondi, i riconoscimenti, fossero soltanto espedienti per nascondere quella “pallina di oscurità” trapiantata nel cuore? In fondo, a volte si compiono azioni virtuose soltanto per espiare delle colpe segrete. Cans, testo dell’autore britannico Stuart Slade portato in scena da Filippo Gili (produzione Uffici Teatrali), esplora proprio ciò che si nasconde dietro a una cosiddetta “brava persona”. In seguito alla morte del padre, Jen e suo zio Len si ritrovano così a fare i conti con un passato sepolto, non per questo meno bruciante.

In una cantina grigia e anonima (scene e costumi Francesco Ghisu), i due “passano del tempo insieme”: cercano di ammazzare topi, riparare statuine distrutte o smistare gli averi del defunto. Ecco che tra le pieghe di un linguaggio quotidiano intriso di corrosivo humour inglese (traduzione Valentina De Simone), si aprono squarci sugli abissi: l’altra faccia del padre esemplare, il suo ultimo anno tormentato tra le accuse di violenza sessuale su adolescenti, il relativo processo e, infine, il suicidio in una camera di albergo. I personaggi tentano deboli giustificazioni, non osando vedere con oggettività il terribile vaso di Pandora che si presenta loro davanti, mentre una domanda sembra insinuarsi tra una battuta e l’altra: è giusto perdonare a chi si ama ciò che a un estraneo si condannerebbe senza riserva? Nodi irrisolti tradotti in scena con lunghi silenzi tesi, feroci scontri verbali e riconciliazioni.

Filippo Gili e Barbara Ronchi danno vita a un dialogo dal ritmo serrato in un’interpretazione efficace – anche se ancora in fieri, da limare nella consapevolezza del corpo e della voce al fine di mantenere il livello di tensione drammatica sempre costante. Una tensione forse minata da semplici espedienti scenici: per esempio la lettura sporadica (eppure lo spettacolo non viene presentato come mise en espace) del copione, che distoglie l’attenzione e rallenta il ritmo, risultando un elemento estraneo in una messinscena che punta invece sull’immedesimazione.

Più che zio e nipote, i due sembrano compagni di bevute di vecchia data, come suggeriscono le innumerevoli lattine (cans) in bella vista. Tracannare birra però non sembra qui un innocuo gesto amichevole, quanto un tic nervoso, un rituale scaccia-pensieri per esorcizzare paure e rimandare verità destinate a essere rivelate: come quelle contenute nei diari segreti del padre, che getteranno una nuova luce inconfondibile sui fatti. Così, Jen potrà finalmente liberarsi dal mito infantile del “papà supereroe” e lo zio da quel senso di inadeguatezza che lo paralizzava di fronte all’inevitabile confronto con il fratello “venuto bene”.

La dolorosa consapevolezza di quelle zone d’ombra dà modo ai protagonisti di ripensare sé stessi. Una nuova vita può nascere da quelle macerie. L’affetto cieco lascia spazio alla razionalità; l’accettazione della verità, improvvisamente, rende liberi.

Ascolto consigliato

Teatro Belli, Roma –18 ottobre 2015

Grazie


Per 15 anni Paper Street è stata una rivista on-line di informazione culturale che ha seguito con i suoi accreditati i principali festival europei di cinema e musica: decine di collaboratori hanno scritto da tutta la penisola dando vita ad un archivio composto da centinaia di articoli, articoli che restano a disposizione di voi lettori che siete stati un numero incalcolabile nonché il motivo per cui, per tanto tempo, abbiamo scritto con passione per questo progetto editoriale che ci ha riempiti di soddisfazioni.

This will close in 30 seconds