Sarah Bernhardt, fotografata da Félix Nadar (1864)

Sarah Bernhardt, una teatralità divenuta vita

Anna Bonaiuto illumina la donna oltre la diva

“La Divina”, “la voce d’oro”, “la scandalosa”, “il mostro sacro”: si sono sprecati nel tempo gli appellativi per definire la personalità eccentrica e sfaccettata di Sarah Bernhardt, una delle più grandi attrici del XIX secolo che come un astro fulgido ha illuminato e attraversato il fermento e le inquietudini della Belle Époque francese, continuando a brillare ancora oggi. Musa di Proust, amante di D’Annunzio, la prima ad interpretare parti da uomo, fra le altre cose: la sua fu una vita costellata di avventure, viaggi da “ebrea errante”, amori passionali, successo clamoroso per aver dato voce alle eroine tragiche di Racine, Dumas, Hugo, scandali e piccole stravaganze. Insomma, la vita pubblica e privata di Sarah Bernhardt (scritta da lei stessa in Ma double vie) sembra essere ben nota: ma chi è la donna dietro la maschera?

Se c‘è un sole che risplende, lo stesso che al Teatro India campeggia in alto proiettando luci in variazioni cromatiche sempre diverse, questo deve pur lasciare un’ombra ed è proprio da qui che sembra prendere forma l’adattamento di Eric-Emmanuel Schmitt del Memoir di Sarah Bernhardt di John Murrell, portato in scena da Marco Carniti: dall’ombra intesa come declino inevitabile di un sole destinato a tramontare, e quella che mostra gli aspetti meno visibili dell’attrice per entrare delicatamente nelle sue sfumature psicologiche.

In una scena dalla tonalità bianca che elude il realismo, richiamando l’artificialità di una sfarzosa scenografia teatrale – una sovrapposizione fra teatro e vita che innerva tutto lo spettacolo – la “virtuosa della morte” (Anna Bonaiuto), vestita di viola come retaggio dell’infanzia e ideale ricongiunzione alle origini, deve ora fare i conti con la propria. La vita si è ormai ritirata in fascicoli ben ordinati dal suo fedele, timoroso, zelante segretario Pitou (Gianluigi Fogacci), ma l’attrice, sfrontata e capricciosa, vuole in ogni caso riviverla attraverso l’unica modalità che conosce: il teatro. Ed è subito chiaro, come suggerisce una sedia da regista con il nome dell’attrice, che sul palco si rappresenterà la vita di Sarah Bernhardt dentro la recita.

Così in scena si susseguiranno le schermaglie giocose tra una diva che ha passato la vita ad espandere la propria personalità, e Pitou – un brillante Fogacci, più di una semplice spalla e contrappeso essenziale alla debordante personalità di Bernhardt –  che invece ha fatto di tutto per reprimere la sua. Due opposti che si incontreranno nello spazio comune di un esilarante gioco meta-teatrale in cui l’attrice, grazie all’affettuosa complicità del segretario/attore/drammaturgo (forse venata di un sottotesto amoroso impercettibile), ricostruirà alcuni episodi della sua vita immensa e avventurosa, dando vita a un efficace e vivace escamotage drammaturgico in grado di ricordare gli eventi sia a sé stessa che al pubblico, come il rapporto conflittuale con la madre, l’unico matrimonio con un aristocratico greco morfinomane, la tournée in America o l’incidente che le costerà l’amputazione della gamba, circostanza che non le impedirà certamente di recitare.

Conservando le note caratteristiche di anticonformismo, narcisismo e stravaganza dell’attrice, La divina Sarah restituisce altresì il ritratto quotidiano e lontano dal mito di una diva fragile, consapevole della sua grandezza come anche della sua vicinanza alla morte, piena di dubbi, risentimento, ironia e soprattutto un instancabile amore per la vita: tutte sfaccettature che non sarebbero possibili senza la rara maestria interpretativa di Anna Bonaiuto, la quale senza senza affettazioni di sorta o enfasi superflue, ma con una toccante umanità, riesce in pieno a illuminare la donna oltre la diva.

Ascolto consigliato

Teatro India, Roma – 21 febbraio 2017

In apertura: Sarah Bernhardt, fotografata da Félix Nadar (1864)

Crediti ufficiali:
LA DIVINA SARAH
da Memoir di Sarah Bernhardt di John Murrell
adattamento Eric-Emmanuel Schmitt
regia Marco Carniti
con Anna Bonaiuto e Gianluigi Fogacci
scene Francesco Scandale
costumi Maria Filippi
musiche Paolo Daniele
produzione Teatro e Società

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