Come un cane senza padrone – Motus

Come un cane senza padrone

Viaggio alla periferia dell'identità nel Pasolini di Motus

Giro per la Tuscolana come un pazzo, per l’Appia come un cane senza padrone.

Come Pasolini vagava per le strade di Roma per scacciare le proprie inquietudini, così i Motus, compagnia nomade e indipendente per definizione e vocazione al 25esimo anno di attività, sono sempre in viaggio alla ricerca di nuove tensioni: viaggio inteso non soltanto in senso letterale – per captare altrove nuove storie, conflitti, interrogativi del presente – ma come viaggio nel teatro stesso, che sperimenta sempre nuove modalità d’interazione fra arti diverse.

Questo è anche il caso di Come un cane senza padrone, spettacolo di repertorio del 2003, o meglio, «film in letteratura» che prevede una messinscena articolata volta a far detonare i frammenti di Petrolio – l’ultimo, immenso romanzo incompiuto di Pasolini – da più prospettive (voce, immagini, musica), intersecando diversi piani di realtà e finzione. Anche qui l’inizio è un viaggio nella marginalità, quello che i Motus fecero fra le periferie di Roma e Napoli (ma che potrebbero appartenere a qualsiasi città, uno degli effetti della globalizzazione) e che ora, al Teatro Biblioteca Quarticciolo, acquistano un significato ulteriore, giacché proiettati all’interno di uno spazio che lavora quotidianamente per sottrarre la periferia alla degradazione e all’isolamento.

Foto di scena ©Diego Beltramo

Pasolini, lo sappiamo già, aveva previsto con lungimiranza ciò che sarebbe accaduto. Aveva previsto l’impatto devastante del neocapitalismo sulla società; aveva previsto l’omologazione culturale delle giovani generazioni, l’”Edonismo dei Consumi” come anche la “mercificazione” del corpo. Ed è per questo – come dichiarava egli stesso – che al corpo-oggetto opponeva dei corpi reali alle prese con l’inferno di una libertà sessuale controversa; un motivo, quello della sessualità, che in Petrolio andava di pari passo con quello politico.

Foto di scena ©Diego Beltramo

Del romanzo, i Motus scelgono proprio i frammenti nevralgici relativi alla dimensione corporea e alla sua metamorfosi quindi al problema dell’identità: quei momenti (Appunti 58-62) in cui il corpo del protagonista Carlo, impiegato cattocomunista dell’Eni, assume l’aspetto di una donna (riprendendo un topos classico della letteratura occidentale, da Tiresia a Orlando di Virginia Woolf), che culminano con il rapporto sessuale con Carmelo, umile cameriere conosciuto a un pranzo di lavoro, consumato in uno squallido prato della periferia romana.

Foto di scena ©Diego Beltramo

Sullo sfondo, uno schermo diviso in tre moltiplica la visione su veri paesaggi periferici in movimento, cupi e desolati; sulla sinistra, un altro schermo dove sarà proiettato il film vero e proprio (in video—riprese e montaggio Simona Diacci: qui, Dany Greggio e Frank Provvedi sono rispettivamente Carlo e Carmelo). Al centro, Emanuela Villagrossi, narratrice austera in total black che dal vivo legge le parole di Pasolini. Così, mentre i fogli cadranno uno a uno dal leggio, la voce affilata e densa di tensione dell’attrice e le immagini sullo schermo scaveranno impietosamente e con freddezza chirurgica in questa relazione che attraverso una metafora sessuale di dominio e sottomissione rovescia i rapporti di potere fra borghesia e proletariato: la sottomissione di Carlo, il cui corpo inerme e senza volontà si ritrova infine nel deserto in un ultimo e suggestivo omaggio a Pasolini, diventa allora la sottomissione della borghesia stessa ai suoi istinti più bassi, che può scoprire non alla luce della città perbene ma ai margini dell’invisibilità periferica.

Foto di scena ©Diego Beltramo

Osannato o banalizzato, presente in tutte le stagioni teatrali come un riferimento imprescindibile e a volte fin troppo rassicurante, Pasolini riacquista con la lettura limpida dei Motus una dimensione più ruvida e scomoda, a volte controversa e difficile da accettare per il suo affondo violento nell’animo umano e nelle sue pulsioni. Così, pur in un contesto socio-culturale profondamente cambiato dagli anni Settanta, la riflessione fin troppo lucida e spietata di “PPP” sull’uomo e sulla società riesce ancora a scuotere il presente.

Teatro Biblioteca Quarticciolo, Roma – 11 marzo 2017

In apertura: Foto di scena ©Diego Beltramo

Crediti ufficiali:
COME UN CANE SENZA PADRONE
reading

ideato e diretto da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò
con Dany Greggio e Franck Provvedi
narratrice Emanuela Villagrossi

cura dei testi Daniela Nicolò
editing audio Enrico Casagrande
riprese e montaggio video Simona Diacci
fonica Carlo Bottos
assistenza tecnica Michele Altana

organizzazione e logistica Sandra Angelini, Marco Galluzzi, Roberta Celati
in collaborazione con Giorgio Andriani

Ringraziamo
per gli abiti Ennio Capasa per Costume National
per la consulenza musicale Daniele Quadrelli
per la consulenza letteraria Luca Scarlini
per la collaborazione e la consulenza urbanistica Paola Peraro, Luigi Biondi

produzione Motus e Théâtre National de Bretagne, Rennes (Francia)
in collaborazione con Teatro Mercadante di Napoli – progetto Petrolio
ed il sostegno di Provincia di Rimini, Regione Emilia Romagna

Grazie


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