Foto di scena ©Fabio Lovino

Servo per due – Pierfrancesco Favino | Paolo Sassanelli

La risposta raffinata della scena al cinepanettone del grande schermo. Tutto il varietà di Pierfrancesco Favino, tutte le varietà del testo di Goldoni. Mentre Antonio Latella porta in scena il suo Servitore di due padroni dalle tinte fosche e dai toni incestuosi, quando ancora tutti conservano negli occhi, cristallizzata (delicata e splendida) la lezione di Giorgio Strelher, Pierfrancesco Favino e Paolo Sassanelli propongono un “adattamento dell’adattamento” mutuando il genotesto goldoniano dalla lettura british di Richard Bean (One man, two guvnors).

La brillante e caotica rappresentazione, riduce e rispettosamente stropiccia Goldoni e Bean, grazie anche alle accelerazioni ed ai rallentamenti impressi al ritmo drammatico, dallo splendido contrappunto musicale dell’orchestrina “Musica da Ripostiglio”. Quel che rimane di Goldoni è l’ammiccante “fu truffaldino”, l’arlecchino Pippo-Favino: un personaggio di catastasi che muove l’azione e si muove spinto dalla proverbiale fame prima, dall’amore poi; un condensato di astuzia ed ingenuità, pose iconiche e coreografie.

Complici i continui coinvolgimenti del pubblico (più o meno preparati), le due ore e quarantacinque di spettacolo scorrono veloci grazie anche alla convincente e coinvolgente prova fornita dagli attori della compagnia “Danny Rose”, che suddivisi in due gruppi da tredici affiancano Favino, alternandosi nei vari ruoli, per ogni messa in scena dello spettacolo. Le scenografie di scarpettiana memoria e la felliniana trasposizione spaziale a Rimini, ma negli anni Trenta, costituiscono una cornice spazio-temporale tutta da ridere, nonostante si avvertano sullo sfondo gli echi del regime fascista.

Uno sfavillante condensato di impegno (la lavorazione è durata otto mesi), passione ed ironia quello che maestranze, attori e musicisti impacchettano e mettono sotto l’albero del Teatro Ambra Jovinelli di Roma, perchè a Natale si sa, anche il teatro è più buono.

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