Foto di scena ©Francesca Giuliani

Senza trama e senza finale – Macelleria Ettore

Senza trama e senza finale, e già nel titolo del nuovo progetto della compagnia Macelleria Ettore troviamo impresso il marchio di fabbrica di Čechov. Proprio lui, il drammaturgo che raccontava il flusso stesso della vita, perché quella vera non è fatta di eroi ma di piccola gente a contatto con chiacchiere insignificanti, attese inutili, parole non dette. Insomma, un’esistenza fatta di niente. La compagnia decide così di prendere quel «niente» e di aprire il Cantiere Čechov, uno spazio che indaga la poetica dello scrittore russo a partire dai suoi Racconti: storie fugaci dove il tempo non è scandito dall’azione ma piuttosto dai sentimenti, dalle emozioni e da quelle speranze che appaiono sempre come miraggi lontani.

Al teatro Argot, dove approda l’ultima tappa del progetto, troviamo quattro attori (Claudia De Candia, Stefano Pietro Detassis, Maura Pettorruso e Angelo Romagnoli) complementari nell’abbigliamento, che formano due coppie – una più giovane e una più matura – ed è come se attraverso di loro presente e futuro convivessero in modo simultaneo, in uno spazio dove la consequenzialità temporale è sospesa a favore di un tempo interiore. Come le nostre esperienze procedono per accumulo senza essere lineari, così lo spettacolo va avanti per frammenti, cercando di riprodurre l’essenza stessa dei Racconti. Gli attori si muovono in circolo, senza una meta e vagamente rassegnati, in una scenografia imprecisata dove un salottino borghese, un campo d’erba sintetico con sparute margherite e un lampione diventano la cornice in cui si inseriscono queste piccole istantanee di vita (in scene a due o corali)

Foto di scena ©Francesca Giuliani

Alle parole inconfondibili del drammaturgo, fatte di malinconia, umanità e tenerezza, si mescolano i testi originali di Carmen Giordano; e quello strabordare di sentimenti che preme per uscire dalla pagina scritta porta gli attori ad un contatto fisico necessario – che sia sensuale o violento – un’interpretazione appassionata che comunque non supera mai la «misura» delle emozioni čechoviane.

Foto di scena ©Francesca Giuliani

La menzogna del dire ti amo (in realtà era il vento); amare la persona sbagliata; sposarsi sì, ma perché? solo per cambiare vita; conoscere l’amore quando ormai si è vecchi e con due figli. Che senso hanno tutte queste voci che si intrecciano l’una con l’altra? Forse l’organicità è da ricercarsi proprio nell’insensatezza stessa delle azioni e dei pensieri umani, e l’unica certezza è quella di non riuscire ad essere felici. Allora tanto vale rimanere nel silenzio, quello denso e rarefatto che in scena è importante quanto le parole, spezzato a tratti da brevi scintille di poesia che sono le note al piano di Renzo Rubino. Un silenzio che è un’arma a doppio taglio, perché se da un lato compensa ciò che manca in scena – l’azione – dall’altro però rischia di compromettere il ritmo interno dello spettacolo.

Lavori in corso nel cantiere Cechov, quindi. Senza trama e senza finale si dimostra infatti uno spettacolo in fieri che svela una volontà di ricerca e sperimentazione onesta e originale sull’opera di Čechov, andando a illuminare ciò che si nasconde dietro le pause, i silenzi e quella mancanza di senso che è l’afflato stesso della vita.

Teatro Argot Studio, Roma – 7 maggio 2015

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