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Piccola guerra lampo per radere al suolo la Sicilia – Giuseppe Rizzo

A Lortica, paesino immaginario dell’entroterra siciliano, tre amici trentenni si ritrovano per le vacanze: Andrea detto Osso, Martina detta Pupetta e Marco detto Gaga. Dal loro paese sono partiti qualche anno prima per inseguire sogni, lavoro ed amori. Chi a girovagare l’Italia, chi l’Europa.

Osso, Pupetta e Gaga, sono i perfetti stereotipi dei giovani siciliani che partono per il continente in cerca di occasioni che invece la propria terra non offre. Per il trio sono due le cose insopportabili e da combattere: “minchiate” e “pidocchi”. Dopo la minchiata più grande, confezionata da sindaco, comandante dei Carabinieri e con la complicità di un ministro originario di Lortica – un duplice omicidio -, il trio decide che è giunta l’ora di agire, che è giunta l’ora di svelare le minchiate e ridicolizzare i pidocchi. I ragazzi, con l’aiuto del bisbetico Mario detto Mario, metteranno in pratica una serie di sabotaggi ai danni degli intoccabili, le cui conseguenze metteranno in pericolo la loro stessa pelle.

Il romanzo esplicita il conflittuale rapporto di amore/odio che hanno tutti i siciliani migranti con la propria terra. Siciliani che prima o poi si scontrano con i soliti cliché: dall’isola coi paesaggi da cartolina al Padrino, dal Gattopardo al Montalbano di Camilleri, dalla questione meridionale di Verga alla decadenza pirandelliana. Ultima ma forse peggiore piaga è quella rappresentata dalla considerazione che viene data ai pidocchi (leggi mafiosi, prepotenti) troppo spesso paragonati a novelli eroi romantici. Rizzo allontana con successo la Sicilia da questi luoghi comuni e cerca una verace quotidianità a costo di contraddire i mostri sacri della letteratura isolana.

Il trentenne Giuseppe Rizzo, dopo L’invenzione di Palermo, si misura con personaggi suoi coetanei. Li caratterizza con una scrittura scorrevole e coinvolgente, capace di mutare repentinamente per tenere il passo con gli eventi rimanendo gradevole anche quando l’atmosfera s’incupisce e la narrazione diventa pungente.

Nonostante l’incipit “La Sicilia non esiste. Io lo so perché ci sono nato”, questo libro non è soltanto per trentenni, non è soltanto per siciliani, ma è per tutti quelli che vivono lontani dalla propria terra e che spesso si limitano ad essere semplici spettatori. Per tutti quelli che non perdono l’occasione di criticare a distanza, senza nemmeno far finta di agire, a tal proposito è quasi d’obbligo tirare in ballo una frase di don Lorenzo Milani, “A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca?”.

Grazie


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