Morsi a vuoto – Maniaci d'amore

Morsi a Vuoto – Maniaci d’Amore

È una visione tragicomica della vita quella proposta da Francesco d’Amore e Luciana Maniaci, in arte Maniaci d’Amore, nel loro ultimo lavoro Morsi a vuoto. La frustrazione di una generazione che stenta a crescere e progredire, bloccata in un limbo senza apparente via d’uscita, incapace di dare segnali di ripresa.

Lei, Simona, è una donna dal marcato accento siculo che racconta la sua vita allo psicologo di fiducia. Fa la “tirocinante di professione” ed è alle prese con il lavoro più impegnativo della sua vita: sedurre Manfredi. Per riuscire nell’impresa è disposta persino a fare una corsetta giornaliera – sì, proprio lei che ha l’indole di un bradipo – e a far di tutto per apparire interessante ai suoi occhi. Vero amore? No, in realtà Manfredi, giovane che ha perso da poco la sua famiglia, ha ereditato una grande villa e una cassaforte piena di smeraldi, e per Simona, nata in una famiglia modesta, rappresenta un’opportunità imperdibile. Per le incredule donne presenti allo spettacolo: questa categoria femminile, seppur minoritaria, esiste davvero. Garantisco io.

Lui, lo psicologo, è follemente innamorato di Simona, ma non riesce a confessarle il proprio amore. È una sorta di Zeno Cosini sveviano, un inetto collezionista di fallimenti, un looser. La sua assenza di carisma lo porta a ricercare continui alibi per la sua infelicità piuttosto che la felicità stessa. Le donne presenti in sala (di cui sopra) non avranno nessuna difficoltà ad assorbire questa categoria maschile.

La pièce ha una svolta radicale nella seconda parte, ossia quando dalla visita psichiatrica si passa alla visita di un ladro (interpretato dallo stesso Francesco d’Amore) nella dimora di Simona e Manfredi. In un’atmosfera più cupa, l’impacciato e zoticone ladro, svela il bluff di Manfredi, in realtà povero e infedele, e sostanzialmente ucciderà due volte l’ormai disincantata protagonista.

In poco più di un’ora i Maniaci d’Amore, grazie a un visibile affiatamento di coppia e a dialoghi ironici e a tratti deliranti, strappano risate al pubblico, ma al contempo scandagliano l’animo umano. Il risultato è una visione grottesca e disillusa di due personalità che sembravano morte e sepolte, e invece stanno tornando prepotentemente in auge.

Sono i figli di una conclamata crisi che più di una crisi è divenuta una rassegnazione e uno stallo senza fine, ove la definizione di “fase” ereditata (parola di largo uso nella nostra penisola) presuppone la facoltà di non alzare un dito per cambiare il corso degli eventi. Sono i figli delle serie TV frivole (The O.C., Gossip Girl), programmi che andrebbero visti accompagnati da adulti per non incorrere nel rischio di bruciare intere generazioni. Sono i figli alla costante ricerca della felicità terrena a discapito di una sempre più inutile felicità spirituale, perché in fondo la via più semplice non è mai quella impervia.

Ascolto consigliato

Nuovo Teatro Abeliano, Bari – 10 gennaio 2015

In apertura: Foto ©Daniela Capalbo

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