Milano trema: la polizia vuole giustizia – Sergio Martino
Il commissario Canepari, sospeso per eccesso di zelo con la pistola, si infiltra nella mala per vendicare la morte del collega Del Buono, ucciso per aver indagato su una serie di rapine. Protagonista è un iconografico Luc Merenda, alla prima prova in un ruolo che ne segnerà la carriera, figlio di Dirty Harry Callaghan, capostipite di eroi della legge duri e senza pietà, pronti a entrare in aperto conflitto con le istituzioni e la prassi di una professione i cui vertici vediamo sprofondare in un’inquietante zona grigia con il crimine.
In un esempio di quello che gli americani chiamano exploitation, Martino gira un film duro come il suo protagonista, prende a prestito dallo spaghetti western il gusto per la composizione dell’agguato, della tregua prima della tempesta, per accelerare costantemente in un vortice di immagini frammentate dal montaggio e usando il ricorrente commento pop della musica in un modo che farà scuola.
In film come questo si respira la novità del vivere in una metropoli. La vecchia mala, la ligera milanese il cui eroe Luciano Lutring rapinava banche senza sparare e nascondeva il mitra nella custodia del violino non c’è più, l’atto di morte è la rapina finita nel sangue e subito in celluloide in Banditi a Milano di Lizzani. Nel nuovo poliziesco emerge tutto il terrore per la vita in una città dove, a Lambrate, è Vallanzasca a tenere i posti di blocco e a fermare la polizia e la città è personaggio, essere collettivo che trema o odia, che è violenta o criminale, descritta nel tracciato degli infiniti inseguimenti, come nel rigore topografico dei noir di Scerbanenco.
Negli anni del loro successo i film polizieschi all’italiana erano stati tacciati di fascismo. Il poliziottesco è di destra o di sinistra? La domanda oggi non ha nessun senso. È prodotto di un’epoca, gli anni di piombo, e del suo mood, quando in migliaia vivevano, e morivano, in base all’aderenza ad idee assolute. Milano trema: la polizia vuole giustizia mette in scena questa atmosfera di dominio totale dell’idea, non prende posizione, Luc Merenda non è buono né cattivo, in una rappresentazione dominata dai toni esasperati e dalla violenza dei contrasti, la coscienza della sfumatura è tutta negli occhi degli spettatori.
Oggi viviamo in tempi di post-tutto, anche di post-criminalità e forse la figura del bandito ci appare ingenua o romantica, materia di romanzo (criminale). Qui invece non c’è romanzo ma puro cinema, duro e creativo, che non si perde in teorie ma è nuda rappresentazione. In questo risiede il fascino di tali film, e il loro essere ancora macchine spettacolari che funzionano e catturano.