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Intervista a Paolo Benvegnù @ Tipografia, Pescara

Qualsiasi frase estrapolata da una canzone di Paolo Benvegnù apre una finestra interpretativa verso il mondo o, giocando con le metafore, un angolo di visuale privilegiato. Che siano criptici o semplici, i suoi testi non lasciano di certo indifferenti. Quella finestra che lui apre di nota in nota, di parola verso parola, non so voi ma io la chiamo sensibilità. Paolo Benvegnù ha un radar estetico con il quale coglie bellezza e sceglie di aderirvi. Mi sono più volte domandata come sarebbe stato parlare con lui, tramortita dall’eventualità di poterne rimanere delusa. L’intenzione che covavo era quella di indagare, oltre l’aspetto musicale, la personalità di questo artista. Vi posso assicurare che non ne sono rimasta affatto delusa, anzi… I suoi grandi occhi blu sono vigili, calmi e, anche quando la polemica incendia, Paolo non rinuncia mai all’articolazione gentile di un’idea. L’impressione è quella di parlare con uno splendido cinquantenne – come lui mi sottolinea continuamente – che non ha nessuna intenzione di rinunciare all’ingenuità, allo stupore. E viene da pensare che abbia ragione lui quando dice: “Il tempo è galantuomo: Shakespeare da quanto tempo dura? Parecchio! Ramazzotti quanto durerà? Il tempo di un amaro!”.

Ciao Paolo! Di solito sono i giornalisti che introducono l’intervistato ma con te mi piacerebbe invertire la tendenza perciò ti domando chi è Paolo Benvegnù secondo Paolo Benvegnù?

(irrompe in una fragorosa risata, ndr) Sono una persona normale, che cerca di vivere normalmente ciò che per lui è passione. Un tempo avevo un desiderio cioè cercare di scrivere canzoni, e sono riuscito più o meno a realizzarlo. Dopo è arrivato il suonare quelle canzoni con delle persone magnifiche ed anche il privilegio assoluto che a qualcun altro possano interessare e così il desiderio si è realizzato. Oggi sono una persona normale che vive nello stupore per cercare di capire che cosa succederà più avanti.

La risposta che mi hai dato non fa che confermarmi ciò che già emerge dalla tua musica, ossia che sei una persona elegante. Però mi chiedo: oggi, per mantenersi tali e non lasciarsi contaminare, é forse necessaria una certa dose di razzismo culturale?

In realtà io non penso di essere elegante. Ho ahimè un certo tipo di etica e l’etica, ahimè, è diventata razzismo. In questo cito il maestro Battiato: “Per fortuna il mio razzismo non mi fa guardare quei programmi demenziali con tribune elettorali”. Non so se questa è eleganza ma di certo prendo le distanze da alcune cose, e nella scrittura questo significa prendere le distanze dal comporre un verso tipo “ti chiamo con il cellulare e mi risponderai con una mail”, perché secondo me le storie vanno raccontate senza tempo e senza spazio, anche se apprezzo molto quelli che, al contrario, riescono a scrivere nel quotidiano e poi allungarlo all’universale: è una grande cosa che io ancora non ho.

I testi delle tue canzoni hanno una prosa complessa, distante anni luce dal solito prodotto musicale “ascolta & getta”. Non ti irrita che in Italia ci sia tanto apprezzamento per un intrattenimento poco colto?

Non è solo la mia prosa, io parlo così… sono vetusto! (ride, ndr) Il problema sta alla radice ed è nel pensiero. Questo già è un paese con il pensiero corto, in più sono venticinque anni che viene dominato, anche da un punto di vista dei media, da quello che arriva da Milano ed il pensiero di Milano è cortissimo. Vengo da lì e te lo posso dire con chiarezza: a Milano vige un pensiero corto, legato a “come posso fare a guadagnare più spazio, più soldi, più tempo”. Questo tipo di ragionamento genera un mondo tremendo perché quando uno guadagna, c’è sempre una vittima che viene sfruttata. Ecco io non sono un prevaricatore dal pensiero corto e perciò non lo sono nemmeno linguisticamente. E poi sono vecchio, ho cinquant’anni e parlo come le persone che avevano la mia stessa età qualche anno fa; non come questi cinquantenni odierni che trovo siano le caricature di loro stessi. Inoltre ho la fortuna di aver incontrato nel tempo tante letture.

Hai letto tanti libri e non possiamo dire che non si senta. Hai mai pensato di prestarti alla letteratura e scrivere un libro?

No, no, no. Ci ho pensato però per adesso sono più bravo come fruitore. Tanti colleghi scrivono libri ma io credo che bisognerebbe far scrivere dei libri agli scrittori; e far fare – magari – le sculture agli scultori; le fotografie ai fotografi… Io sono per quella cosa chiamata fatica: quella che nessuno vuol fare; con la quale, al d là delle piccole intuizioni, uno ci mette quindici anni per maturare uno stile, un’idea, un colore. E invece qua tutti fanno tutto e allora, se mi permetti, io sto fuori da questo gioco di idioti ed in questo posso sembrare razzista. Nella realtà sono solo contro l’idea che tutto si possa vendere e che tutto si possa comprare. Allora io, se mi permetti, sono semplicemente una persona normale. Sono loro che sono tutti matti!

Un paese dove tutti fanno tutto senza fatica né merito, e dove non c’è più distinguo tra follia e normalità: ti viene qualche volta voglia di fare le valigie?

Ti dico la sincera verità: io sto aspettando quello che succede nei prossimi mesi. Però se una persona su tre in Italia vota Berlusconi è preoccupante! Sono preoccupato come lo sarei stato nel ventidue quando i fascisti fecero la marcia su Roma, o come mi sarei preoccupato se fossi stato tedesco durante la Repubblica di Weimar e fosse andato al governo il partito nazionalsocialista. Quindi sì certo, tante volte ho pensato di andarmene. Io del resto già l’ho fatta questa scelta perché ero a Milano quando Milano era la “Milano da bere” e sono andato a vivere sul lago di Garda per spostarmi da un posto che non mi piaceva; poi è arrivata la Lega ed allora sono andato in Toscana dove non c’era la Lega. Ora però è tutto diverso perché è una situazione generalizzata, uguale un po’ in tutta Europa e ci sono pochi paesi in cui effettivamente andare a trovare qualche cosa di vero. Continuo a pensare che l’Italia sia un paese meraviglioso e che l’unica possibilità di rivoluzione qui – quando parlo di rivoluzione intendo “evoluzione” – possa partire dal sud dell’Italia dove ci sono le intelligenze migliori, dove c’è, proprio da un punto di vista geopolitico, la possibilità di vedere degli orizzonti che non siano chiusi da case, da industrie come nel nord. Il sud dell’Italia è vessato da anni e continua ad esserlo. Allora come direbbe Moretti, “ci vogliamo far del male?”, allora continuiamo così!

Mi suggerisci come via d’uscita dalla crisi una rivalutazione del sud Italia ma io leggo che hai partecipato all’evento Woodstock cinque stelle promosso da Beppe Grillo: simpatizzi per il movimento dei grillini?

No, ho partecipato perché volevo capire cos’era. Sono andato a due appuntamenti grillini: il primo a Torino e mi ricordo che ero molto curioso perché da poco stavo seguendo Travaglio che era all’interno di questa situazione e mi piacevan le cose che diceva. Devo dire che l’atmosfera che ho trovato a Torino era molto bella, piena di persone entusiaste. Anche la seconda volta ho trovato, bene o male, la stessa situazione. L’unica cosa che mi ha fatto un po’ storcere il naso è stato il modo con cui ci si rivolgeva alla massa e come questa rispondeva. Ho notato che la massa se le dicevi “uaaah”, ti rispondeva “uaaah”. Come ho avvertito la tendenza a forzare la mano su determinati temi, dicendo “vaff…”, e sul “vaff” eran tutti attenti. Ecco, io non sono mai stato un ripetitore e prendo sempre le distanze da quelli che sono i movimenti che arrivano attraverso la negazione: arrivare attraverso la negazione è molto semplice, cioè arrivi in un posto e distruggi tutto ciò che non va, ma poi devi ricostruire. Però adesso siamo ancora nella fase della distruzione e questo è un po’ pericoloso. Sono il primo ad essere curioso di questo movimento e di quello che succederà ma io, purtroppo, ho come la predisposizione a stare all’interno di una minoranza piuttosto che in una maggioranza.

Passiamo alla musica. Cosa mi dici della scena musicale italiana?

Mai come in questo momento ci sono delle cose bellissime in Italia: ci sono tanti talenti veri, e soprattutto talenti che non andranno alla deriva. Sono talenti che non verranno presi, per fortuna, dalla Caterina Caselli di turno che trasforma qualsiasi cosa in, si può dire in cosa? Questa di cui parlo è gente che fa della bella musica da qui fino a quando campa.

Mi fai qualche nome?

Dimartino, Giuradei, Alessandro Fiori e Marta sui Tubi; oppure tra quelli della mia generazione: Marco Parente, Basile, gli Afterhours e i Marlene Kuntz.

Paolo Benvegnù che progetti ha per il futuro?

Morire presto! Mi piacerebbe vivere perché in tanti anni non ci sono mai riuscito, forse solo da bambino. Questo è il mio progetto per il futuro. Poi, per quanto riguarda la nostra cosa con Paolo Benvegnù, faremo un disco abbastanza definitivo nei prossimi mesi.

Grazie per l’intervista!

Sono io che ti ringrazio!

Photography ©Maurizio Di Zio all rights reserved

Grazie


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