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In a safe place – 7 training days

Dietro il nome di 7 training days si celano quattro ragazzi di Frosinone (Simone Ignagni alla voce e alla chitarra, Achille Fiorini alla chitarra, Antonio Tortorello al basso e Giovanni Ignagni alla batteria) che cercano di uscire dalla convenzionalità che caratterizza una fetta della musica nostrana (e per fortuna son sempre di più quelli che lo fanno) per proporre qualcosa che non sia legato ad una precisa etichetta musicale. Partendo dall’alt-rock, la band naviga anche altre acque come quelle del post-rock e (per il modo di cantare) anche quel rock americano che andava molto in voga negli anni ’90 (non a caso il gruppo cita i Pearl jam fra le influenze e anche Rem, Wilco, Low, the National e Nada surf).

Il debutto con In a Safe Place (autoprodotto) desta anche interesse per la cura della parte grafica dell’artwork – dei corvi (o dei piccioni?) su un filo elettrico a tanti metri di altezza – a mio parere perfetto per esprimere visivamente il concetto dell’album, e anche per la scelta del titolo (identico all’album onirico del 2004 di The Album Leaf e al mediocre film A safe place di Henry Jaglom con uno straordinario Orson Welles in veste d’attore) che suggerisce la necessità di trovare un posto sicuro, tranquillo – che può essere quello della musica, dell’arte, dei sogni – in un mondo sempre più colmo di insidie.

Ma torniamo all’album e prima di analizzare le dieci tracce, è necessario fare due precisazioni: la prima riguarda la cura del disco dal punto di vista tecnico che è ineccepibile; sono bravi musicisti ed è difficile sostenere il contrario. La seconda riguarda l’impostazione data all’album che sembra scorra su un filo continuo: le canzoni sembrano concepite in un’unica soluzione ed è buona cosa perché significa che non vi è una semplice accozzaglia di tracce. Il difetto più grande di In a safe place sta nella mancanza di una personalità del suono (ma questo è un problema che riguarda molti esordienti) e nella ciclicità dei pezzi che hanno strutture strumentali abbastanza simili. Ma i risultato complessivo è da elogiare.

La prima traccia Freckles inizia tesa e si mantiene cosi per tutto il tempo. Il secondo pezzo Beautiful Bleeding si mantiene sullo stesso mood con un bellissimo intro di chitarra, ma a differenza del precedente ha un ritornello che ricorda vagamente la perfezione pop dei primi Radiohead (con le dovute distanze) e non a caso risulta uno dei migliori pezzi dell’album, compreso il testo (“Believe me..I’m not a fake / I’m not insane / i’ve only found you again/ and it’s beautiful bleeding / but the stranger fact is I’m ready for the fall / ready to embrace you and loose you again“).

Anche la seguente In a song è emotivamente molto d’impatto e l’orchestrazione degli strumenti è davvero notevole in quanto dosata e in armonia con la voce di Simone nella sua migliore interpretazione nel disco. Secret Garden ha una linea di basso più incisiva e ha un’attitudine più grunge (così come la title-track In a safe place), anche se è un classico pezzo alternative. Le influenze post rock si sentono soprattutto in Even More, mentre Stripes riprende le atmosfere della prima traccia, ma il risultato non è ottimale come nel caso precedente: il pezzo risulta più piatto, poco sanguigno.

Convince un po’ di più Hole in the ground, una ballata ipnotica e che mette in evidenza la bravura del gruppo nei momenti più pacati. A Million rushes è un altro bel pezzo che ricorda molto i Kashmir di Trespassers ma con un’attitudine più melodica. Il disco si chiude con la splendida The People embassy (“So in the friendly silence / of all your dark night / thieves will keep you out of your open door): un brivido lungo cinque minuti e che conferma quanto detto prima per quanto riguarda i pezzi dalle atmosfere più distese e in questo caso desolanti.

L’esordio dei 7 training days è molto interessante e ci sono tutte le carte in regola per un secondo disco che risalti ancor di più le loro capacità e secondo me la strada musicale dell’ultimo pezzo è quella che può “personalizzare” le loro sonorità.

A proposito della storia di Icaro, Stanley Kubrick (a cui il gruppo fa riferimento fra le ispirazioni) diceva queste parole «Dimentica la cera e le piume, e costruisci ali più solide».

Grazie


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