Illusion Opera – Disguido

Illusion Opera – Disguido

Al cinema si chiama “sospensIOne di credulità”, a teatro diventa Illusion Opera: un giocoso incantesimo messo in scena al Teatro Vittoria lo scorso fine settimana, una regressione divertita fino alla riscoperta del fanciullino, che durante la settimana deve soccombere all’adulto impegnato.

Il fanciullino strabuzza gli occhi, non si chiede dov’è il trucco, e si lascia prendere per mano da una coppia di maghetti tutti smorfie e sorrisi: i Disguido (Isabella e Guido Marini) sono un duo capace di dar vita a una visual comedy trascinante, un detonatore di magia, illusioni, trasformismo e dirompente comicità, in cui se qualche adulto proprio non riesce a rinunciare al peso dell’età, non faticherà a cogliere quel monito a non perdere mai la voglia di giocare.

Una “I” e una “O” riempiono la scena: a collegare concettualmente i dieci sketch e i diversi personaggi – che dalle due “letterone di stoffa” prendono vita e poi scompaiono – è un puntino rosso, un naso da clown che può trasformarsi in una palla, un palloncino, fino a diventare un pallone gigante che voracemente divora chi lo manovra. Il gIOco, l’evoluzIOne, il viaggIO, il vizIO, il prodigIO, l’illusIOne e l’azIOne: tutti concetti declinati in un’atmosfera rétro, tra il bianco e nero di un tempo in cui divertirsi costava poco e coinvolgeva tutti, pure i “babbani”, con buona pace di Harry Potter. I bambini in sala ridono sonoramente, partecipano e rumoreggiano: chissà perché tutto questo non disturba gli accompagnatori più attempati, che sembrano più coinvolti dei “pulcini” e, udite udite, nessuno smartphone si sovrappone alle performance.

I Disguido coinvolgono oltre ogni aspettativa e contro ogni difficoltà tecnica: una cassa che “spernacchia” e alcuni oggetti “anarchici” non sono d’ostacolo ai due maghi, che si scoprono ottimi improvvisatori. Il finale è un tributo al cinema, un omaggio a metà tra la risata e la lacrima nostalgica, reso con la forza di quell’arte di cui i due sono maestri assoluti: la chapeaugrafie, l’arte di plasmare le falde di un cerchio di feltro con un largo foro al centro, riuscendo a dar forma a svariati cappelli, per infiniti personaggi. Con il supporto delle colonne sonore dei capolavori (d’arte o di commercio, poco importa) del cinema prendono forma personaggi dei classici d’animazione, scherzose rivisitazioni di horror e action movie (da Dario Argento a 007), gli evergreen della commedia d’amore (Ghost, Pretty Woman) e i colossal come Via col vento.

Un’esplosione di divertimento sano, una riscoperta del gioco “dal vivo”, uno spettacolo che va vissuto come si faceva quando, a Natale, si scartavano i regali sotto l’albero per poi giocare con il giocattolo più bello: l’immaginazione.

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